“Ah! Anche sarto?” — Riflessioni su percezione, immagine e giudizio nei social professionali

 

Qualche giorno fa, scorrendo LinkedIn — il social dedicato al mondo del lavoro e del networking professionale — mi sono imbattuto in un post che mi ha fatto riflettere più del solito.

Un tecnico del settore commentava un’immagine di prodotto tratta dall’e-commerce di un noto brand italiano, sollevando osservazioni sulla qualità percepita e sul valore economico della giacca rappresentata.

Non è mia intenzione entrare nel merito delle opinioni espresse, né discutere il diritto di ciascuno di dire la propria. Del resto, io non sono un sarto, e i prodotti che disegno non si collocano affatto nel campo della sartoria, quindi figuriamoci se posso giudicare quanto espresso dal professionista, anche perché la foto su cu si basava era talmente post-prodotta da non essere quasi reale, ma soprattutto non ho mai visto dal vivo una giacca di quel marchio.

Mi ha colpito però un aspetto che va oltre il singolo post e riguarda il modo in cui, sempre più spesso, ci relazioniamo ai contenuti online, anche (e forse soprattutto) su piattaforme come LinkedIn.

Ciò che ha attirato la mia attenzione, infatti, sono stati i commenti.

Numerosi professionisti del settore — tecnici di produzione, modellisti, consulenti, addetti marketing e vendite — hanno iniziato a elencare difetti, storture, incongruenze. Qualcuno parlava con disappunto del prezzo. Altri indicavano con sicurezza gli errori “imperdonabili” del capo in questione. Qualcuno, mi è parso, si spingeva anche un po’ oltre, arrivando a ipotizzare problemi che forse nella foto nemmeno si vedevano davvero.

In molti casi, sembrava quasi una gara a dimostrare competenza tecnica e spirito critico.

C’è solo un piccolo dettaglio che rende tutto questo paradossale: quella giacca non era reale.

O, per essere precisi: quella foto non rappresentava il capo reale.

Era una rappresentazione digitalmente alterata, una classica immagine “in piano” post-prodotta da un grafico per motivi puramente visivi. Una sorta di “segnaposto” che ha il solo scopo di presentare il capo nel catalogo online. Niente più.

È una prassi diffusissima tra i grandi brand: quasi tutti utilizzano queste immagini per uniformità visiva, poi “entrando” nella scheda prodotto, si possono vedere foto del capo indossato, dei dettagli, le descrizioni tecniche, la composizione e così via. Personalmente, da anni preferisco scegliere un’altra strada per il mio e-commerce: scatti “casalinghi”, meno patinati, ma forse autentici. Però questo è un gusto, una scelta stilistica.

E sia chiaro, un po’ di post-produzione è sempre doverosa, una luce, un’ombra, un colore, una asimmetria, è molto importante fare attenzione, nello stesso modo in cui un bravo venditore saprà mettere al meglio un capo in esposizione: è la stessa stessa cosa.
In tal senso, ogni azienda decide come vuol far vedere al pubblico  i suoi prodotti, certa che un cliente interessato, se ha dei dubbi, contatterà il customer care dell’azienda e si farà dare spiegazioni.

Il punto è che un’immagine simmetrica, piatta, post-prodotta non è la sede giusta per valutare davvero un capo.

E chi lavora in questo settore dovrebbe saperlo.

La mia riflessione, allora, non riguarda solo quel singolo caso, ma il modo in cui comunichiamo la nostra professionalità.

In un contesto come LinkedIn, dove ci raccontiamo come persone e come lavoratori, cosa dice di noi un commento in cui si critica con forza un prodotto che non si è mai visto né toccato, rappresentato da una foto “segnaposto”, presa da uno screenshot?

E soprattutto, ci siamo mai chiesti chi ci legge?

Un potenziale cliente? Un’azienda con cui vorremmo collaborare? Un head hunter che sta cercando proprio un profilo come il nostro?

Che idea si farà della nostra serietà, del nostro approccio, del nostro senso critico — se ci vede giudicare superficialmente un capo, basandoci su una fotografia che non riflette affatto il prodotto reale?

Viviamo in un tempo in cui tutti ci sentiamo spinti a dimostrare competenza, a “dire la nostra”, a far vedere che “non ci facciamo fregare”. Ma forse, ogni tanto, fermarsi a osservare meglio prima di commentare potrebbe farci apparire più consapevoli, più professionali, più seri. Non è questione di essere indulgenti o di evitare il confronto: è questione di profondità. Di riconoscere che non tutto si può capire da un’immagine, che non tutto si può giudicare a colpo d’occhio.

E che, in fondo, un po’ di studio, e un po’ di attenzione in più nel giudicare il lavoro degli altri, non guastano mai.

Soprattutto in uno spazio che, almeno in teoria, dovrebbe raccontare chi siamo e come lavoriamo.
Non vale solo per l’abbigliamento, dovrebbe valere per tutti i temi con cui decidiamo di esporci nei social network. Conoscere per Deliberare.

Mi viene in mente, a proposito, una celebre battuta di un vecchio film con Paolo Villaggio. La Signora Silvani, con il suo tono inconfondibile, dice:

“Ah! Anche poeta?”

Ecco, leggendo certi commenti, mi è venuto spontaneo pensare:

“Ah! Anche sarto?”